Coronavirus e rapporti contrattuali

Coronavirus e rapporti contrattuali

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E’ esperienza comune che i provvedimenti restrittivi adottati dal Governo stanno determinando nell’ambito dell’attività produttiva del Paese ritardi e/o impossibilità di adempimento delle obbligazioni contrattuali, con conseguenti ripercussioni economiche che si aggravano di giorno in giorno.

Allo scopo di tamponare le falle più impellenti, il D.L. 17 marzo 2020 cosiddetto “Cura Italia”, all’art. 56, consente la sospensione della esecuzione dei rapporti degli imprenditori con Banche e Intermediari finanziari previsti dall’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (Testo unico bancario) e degli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in Italia.

L’art. 91 (Disposizioni in materia di ritardi o inadempimenti derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici) del medesimo D.L. 17 marzo 2020, prevede che il ritardo e/o l’inadempimento delle prestazioni venga valutato con riguardo al rispetto delle misure  di contenimento da Coronavirus, e ciò ai fini della possibile esclusione dell’applicazione delle norme in materia di responsabilità del debitore, ex artt. 1218 e 1223 cod. civ.

Occorre domandarsi se ed in quale misura la diffusione del virus Covid-19 ed i conseguenti provvedimenti contenitivi rientrino nei casi della impossibilità sopravvenuta della prestazione così da giustificare l’inadempimento contrattuale per causa di forza maggiore.

Al riguardo, a parere di chi scrive una risposta ope legis è contenuta nell’incipit dell’art. 56, secondo cui “l’epidemia da COVID-19 è formalmente riconosciuta come evento eccezionale e di grave turbamento dell’economia, ai sensi dell’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”.

Infatti, la limitazione “ai fini del presente articolo” appare contraddittoria ed incongruente con il dichiarato “grave turbamento dell’economia”, che non dispiega certo i suoi effetti solo nei rapporti di natura finanziaria, ma anche (e forse soprattutto) rispetto ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo e non, di fornitura e somministrazione, di appalto, di consulenza, di servizi e via dicendo.

Le restrizioni della libertà personale e di circolazione conseguenti ai decreti finora emanati dal Governo, rappresentano in ogni caso una fattispecie del c.d. factum principis, poiché stanno avendo delle fortissime ripercussioni negative sui rapporti nazionali ed internazionali tra le imprese. Infatti, secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato, n. 294 del 18.1.2018, “La nozione di factum principis rientra nella più ampia categoria di fatto sopravvenuto, non prevedibile ed evitabile con la ordinaria diligenza, idoneo ad integrare una causa sopravvenuta di impossibilità della prestazione ai sensi dell’art. 1256 cod. civ. che esclude la colpa del soggetto inadempiente e dunque l’imputabilità allo stesso dell’inadempimento”.

In dottrina si è affermato che l’impossibilità è definitiva se è irreversibile oppure se si ignora quando possa venir meno, mentre si parla di temporanea quando dipende da causa prevedibilmente transitoria. Nel primo caso, l’obbligazione si estingue ai sensi dell’art. 1256 cod. civ. primo comma. Va ricordato che si ha estinzione della obbligazione anche nel caso di impossibilità temporanea, quando la parte non inadempiente (il creditore) non ha interesse a riceverla oppure non può più pretendere la prestazione (art. 1256 cod. civ. secondo comma).

Secondo i principi generali in materia di obbligazioni, l’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione o che esonera da responsabilità per il ritardo deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto ed alla prestazione ivi contemplata e deve consistere non in una mera difficoltà ma in un impedimento del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto.

Occorrerà dunque valutare, caso per caso, se la durata delle misure restrittive adottate dal Governo sia tale da aver determinato una impossibilità assoluta della prestazione con conseguente estinzione di quella determinata obbligazione ai sensi dell’art. 1256 cod. civ., ovvero se per quel determinato contratto tali restrizioni possano ritenersi impossibilità temporanee, così che nel momento in cui vengano a cessare, la controparte abbia ancora interesse a riceve le prestazioni.

Il problema si pone soprattutto per i contratti di durata: a titolo meramente esemplificativo, è il caso del conduttore di un locale adibito ad attività di ristorazione, che dal 10 marzo u.s. non può più svolgere l’attività per via dei provvedimenti restrittivi. In questo caso, il conduttore potrà certamente interrompere il pagamento dei canoni di locazione ai sensi dell’art. 1256 cod. civ. per impossibilità temporanea della prestazione, poiché, finchè dura la pandemia, non sarà responsabile del ritardo nell’adempimento ex art. 1219 cod. civ. e di conseguenza, potrà accordarsi con il creditore al fine di ottenere una sospensione della esecuzione del contratto e rinegoziarne la durata.

A tal proposito, non può sottacersi la possibilità che la situazione di emergenza renda la prestazione eccessivamente onerosa per il debitore, alterando l’originario sinallagma ed incidendo sul valore della prestazione o facendo diminuire l’utilità della controprestazione.

In tal caso, il debitore potrà domandare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 cod. civ., salvo che tale eccessiva onerosità non rientri nell’alea del contratto.

Resta inteso che è sempre onere del debitore dare la prova della impossibilità all’adempimento, in tal modo facilitato dal prefato articolo 91 del D.L. 17 marzo 2020, per lo meno qualora l’attività commerciale o imprenditoriale sia stata oggetto di chiusura (ad esempio: parrucchieri ed estetisti, commercianti, palestre e così via) nel periodo in cui la prestazione o la fornitura avrebbe dovuto essere goduta e/o pagata.

Di contro, le regole sopra richiamate non valgono se (i) il factum principis sia ragionevolmente prevedibile secondo le regole della comune diligenza e se (ii) il debitore non abbia adottato tutte le soluzioni alternative nel pieno rispetto dei limiti imposti dai provvedimenti restrittivi.

È il caso del soggetto che abbia assunto un obbligo contrattuale in piena emergenza sanitaria, consapevole del rischio concreto di non poter adempiere alle proprie obbligazioni senza l’adozione di alcuna misura alternativa consentita. In questo caso, il soggetto sarà ritenuto inadempiente non potendo invocare la causa di forza maggiore e, dunque, l’estinzione della obbligazione ai sensi dell’art. 1256 cod. civ.

Sul punto vale la pena richiamare un principio sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con la Sent. n. 14915 del 18.6.2018, secondo cui “nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa (“factum principis”) sopravvenuto e che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità”.

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In conclusione: sono da ritenersi prevedibili ed in gran parte giustificate le richieste da parte dei committenti di servizi o di forniture, così come dei conduttori di immobili, di sospensione della efficacia dei contratti in essere qualora gli stessi siano stati direttamente colpiti dalle misure di contenimento dell’epidemia adottate dal Governo.

A parere di chi scrive, converrebbe al fornitore/prestatore di servizi/locatore accordare le sospensioni richieste, magari a fronte di una proporzionale proroga della vigenza del contratto.

Infatti, l’eventuale inadempimento da parte del cliente potrebbe risultare non utilmente perseguibile in sede giudiziale (dopo che i Tribunali avranno ripreso la normale attività), se e quando l’inadempimento risulti riconducibile ad impossibilità sopravvenuta.

Un esercizio commerciale forzosamente chiuso, ad esempio, potrà facilmente dimostrare di non aver ottenuto ricavi e dunque di non aver potuto suo malgrado adempiere ai propri oneri contrattuali.

Per contro, la locazione di beni mobili (ad esempio telefoni e computer) o la fruizione di servizi (ad esempio di vigilanza) di cui si fruisca a prescindere dalla chiusura dei locali verosimilmente non si presta a tali istanze.

Avv. Sandro Campilongo

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