Responsabilità Professionale: incombe sul professionista l’onere di dissuadere il cliente dall’intraprendere l’azione giudiziale in caso di scarse possibilità di successo

Responsabilità Professionale: incombe sul professionista l’onere di dissuadere il cliente dall’intraprendere l’azione giudiziale in caso di scarse possibilità di successo

Condividi
Tempo di lettura:5 Minuti, 6 Secondi

Il Tribunale di Vicenza, con la Sentenza n. 662/2020 emessa lo scorso 26 marzo (qui allegata), ha ribadito il principio – peraltro già ampiamente consolidato – secondo il quale incombe sul professionista l’onere di informare il cliente delle scarse possibilità di successo dell’impugnazione e, conseguentemente, di dissuaderlo dal ricorrere alla Giustizia tributaria indirizzandolo, invece, ad una forma di definizione agevolata dell’accertamento.

La sentenza in commento, inoltre, si è soffermata su un aspetto rilevante della questione relativo all’onere della prova affermando che grava in capo al professionista l’onere probatorio dell’avvenuta corretta informazione al cliente.

Nel caso di specie, gli attori deducevano la responsabilità professionale del Commercialista e del ragioniere (suo collaboratore) in ordine alla “sconfitta processuale” subita innanzi alla Commissione Tributaria, con conseguente mancato annullamento degli avvisi di accertamento emessi nei loro confronti dall’Agenzia delle Entrate.

Tale rigetto, secondo gli attori, tanto in primo grado quanto in appello, era riconducibile esclusivamente ai gravi errori processuali e di strategia difensiva commessi dai professionisti, i quali avevano colposamente posto in essere una serie di mancanze professionali che, concatenate tra loro, avevano determinato l’esito sfavorevole della lite.

Il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi sul punto, ha rimarcato il principio generale, in virtù del quale “le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con le quali il professionista ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall’altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui questi è tenuto”, per come già affermato da diverse pronunce (Cass., Sez. VI-III, 28.02.2014, ord. n. 4790; Cass., Sez. III, 05.08.2013, n. 18612; Cass., Sez. III, 18.04.2011, n. 8863; Cass., Sez. II, 27.03.2006, n. 6967; Cass., Sez. II, 18.07.2002, n. 10454).

Dunque, si tratta di una responsabilità per colpa commisurata alla natura della prestazione, che risulta circoscritta ai casi di dolo o colpa grave unicamente quando la prestazione implichi la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà ex art. 2236 c.c.

Il professionista, in tal caso, potrà liberarsi dalla imputazione di ogni responsabilità se ed in quanto dimostri l’impossibilità della perfetta esecuzione della prestazione (ex art. 1218 c.c.) o di aver agito con diligenza.

Pertanto, con particolare riferimento all’onere probatorio gravante sul professionista, la Corte di Cassazione in diverse pronunce – richiamate dallo stesso giudice di merito nella pronuncia in esame – ha avuto modo di precisare che “la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività del commercialista incaricato dell’impugnazione di un avviso di accertamento tributario, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso alla commissione tributaria, che avrebbe dovuto essere proposto e diligentemente seguito” (Cass. 26/4/2010 n. 9917; conf. Cass. sent. n. 10966 del 2004).

Tale principio può ormai considerarsi consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte che lo ha declinato principalmente in tema di responsabilità dell’avvocato: “la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo delpregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), ed il risultato derivatone” (Cass., Sez. III, 20.08.2015, n. 17016; Cass., Sez. III, 05.02.2013, n. 2638).

Peraltro, come già graniticamente affermato dai giudici di legittimità “L’avvocato ha l’obbligo di non consigliare azioni inutilmente gravose e di informare il cliente sulle caratteristiche della controversia e sulle possibili soluzioni. In particolare, sussiste lo specifico obbligo in capo all’Avvocato di dissuadere il cliente da azioni che siano manifestamente prive di fondamento” (Cass. 9695/2016, conforme Cass. 10289/2015: “La responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ex art. 1176, comma 2, c.c. Tale violazione, ove consista nell’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è esclusa, né ridotta, dalla circostanza che l’adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, poiché è esclusivo compito del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale. L’avvocato, inoltre, all’atto del conferimento del mandato e nel corso dello svolgimento del rapporto, è tenuto non solo al dovere di informazione del cliente, ma anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione dello stesso, nonché a sconsigliare all’assistito la introduzione o la prosecuzione di un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole”).

Pertanto, nel caso di specie, spettava senz’altro al professionista informare il cliente delle scarse possibilità di successo dell’impugnazione e dissuaderlo dal ricorrere alla Giustizia tributaria, indirizzandolo invece ad una forma di definizione agevolata dell’accertamento.

Avv. Sonia Arena

Condividi